mercoledì 27 febbraio 2013

Saguaro n. 10 - Spiriti liberi

Per espiare il ritardo dello scorso mese, stavolta mi sono fiondato in edicola il giorno stesso in cui è arrivato questo decimo numero di Saguaro dal titolo "Spiriti liberi". Saguaro ha un unico difetto: esce solo una volta al mese! Attenzione, stavolta c'è qualche spoiler.

L'eroe creato da Bruno Enna questa volta si trova sotto copertura all'interno di un carcere per scoprire se effettivamente ci sono degli abusi nei confronti dei nativi. Storie di questo genere ne abbiamo già viste molte, eppure a leggere il fumetto sembra di trovarci di fronte a qualcosa di diverso, complice anche la diversità razziale del protagonista. Il carcere, infatti, annulla tutte le differenze razziali e, sebbene all'interno comunque esistano varie gang etniche, l'unica opposizione tangibile è prigioniero\schiavo contro guardiano\padrone. Inoltre, più la razza sarà in minoranza, più sarà seviziata. I prigionieri politici, poi, come Nastas, il fratello di sangue di Saguaro, subiscono le pene maggiori tanto da perdere la propria identità o addirittura la vita. Lo stesso Saguaro proverà tali supplizi sulla propria pelle: psicofarmaci, maltrattamenti fisici, alterazione del sonno e illuminazione sempre accesa.

Il carcere diventa una metafora di vita che rivive nei ricordi del protagonista, dove nei brevissimi flashback si intuisce come il padre fosse un'autorità violenta tale da spingerlo ad evadere, prima da ragazzino nello hogan insieme a Nastas e poi, da adulto, lontano dalla riserva. Il crollo dell'autorità è lo stesso che avviene nel carcere, ma stavolta Thorn non scappa. Lotta, le prende come mai le ha prese prima e vince. Nessun esilio e la famiglia resta compatta, tanto che nelle scene finali il nostro Thorn salva anche Due Orsi, il quale per più volte si è visto rifiutato di essere chiamato "fratello". Del fratello vero, Nastas, l'uomo per il quale Saguaro ha scelto di infilarsi nella prigione, si perderanno le tracce: una vera e propria beffa, quasi uno scherzo, che nella mitologia indiana è solita fare lo spirito del coyote, il trickster, l'ingannatore, proprio lo spirito guida di Nastas che ha chiamato Saguaro alla missione.

Nota di merito per i disegni di Marco Foderà, buoni e dinamici con l'unico difetto che spesso i volti tendono a somigliarsi troppo (Due Orsi è un Saguaro con le basette mentre Granger ricorda tantissimo Cobra Ray). Non particolarmente di spicco, invece, la copertina di Furnò.


martedì 19 febbraio 2013

Dampyr n. 155 - Il sigillo di Lazzaro

Non sono solito comprare Dampyr. Anzi, credo di averlo acquistato una sola volta e di averne letti meno di una decina che mi sono stati regalati. Dampyr è una serie horror e io con l'horror non sono mai andato troppo d'accordo, basti pensare che sono sempre stato refrattario a Dylan Dog. Però Dampyr, ad avere spazio, lo seguirei perchè è una serie coi controfiocchi che fa della documentazione storica e etnologica il suo punto forte. Magari se la Bonelli aprirà in maniera definitiva all'e-book, un pensierino potrei farcelo.

Ma perchè vi sto parlando di Dampyr? Perchè ho comprato il  numero di febbraio, "Il sigillo di Lazzaro", che merita due parole. La storia è un classico del genere: gli eroi devono trovare un antico manufatto sulle cui tracce sono anche i nemici e in più salterà fuori un terzo incomodo. Una storia tutto sommato buona e che si fa leggere con piacere. Ma allora cos'ha di speciale questo numero? Semplice: è uno dei numeri più "politici" della Sergio Bonelli Editore.

L'ambientazione di questa avventura è infatti la città dell'Aquila, colpita dal violento terremoto del 2009 (il quale viene anche riproposto in una sequenza) e letteralmente abbandonata dalle istituzioni. E Harlan, il protagonista, col suo socio Kurjak, passeggiando per il centro storico ne denunciano a chiare lettere l'abbandono da parte delle istituzioni e di come tutto sia ricaduto sulle spalle dei cittadini che, rimboccatisi le maniche, sono andati avanti e hanno cercato di vivere nella maniera più normale possibile, dimostrando grande coraggio e dignità.

Nata da un'idea di Boselli e scritta e sceneggiata da Cajelli, è dunque una storia importante per il messaggio sociale e politico, che lascia facilmente dimenticare i piccoli difetti che non inficiano la qualità della storia come alcuni dialoghi un po' forzati, quasi finti, e i disegni di Fabrizio Russo che, per come lo conoscevo su Martin Mystère, sono un po' peggiorati.



lunedì 18 febbraio 2013

Saguaro n. 9 - Odio cieco

Con un po' di ritardo, parlo anche di questo nono numero di Saguaro, la serie western moderna di Bruno Enna. Lo dico subito: anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una bella storia, dura e spietata come il sole che picchia in Arizona.

In breve, il cadavere di una nativa sparisce dall'obitorio e le tracce portano in due direzioni: da una parte la multinazionale per cui la donna lavorava, che sfrutta e inquina il territorio Apache, e dall'altra il marito di lei, indiano anch'esso e con il vizio dell'alcol e dalle mani pesanti. In mezzo si trova il nostro Thorn, coadiuvato come sempre dalla valida Kay, la quale, proprio in questo numero, darà sfoggio delle sue qualità.

L'albo scorre bene e si segue l'indagine dei due con la giusta curiosità, ma come sempre avviene in questa collana, l'attenzione vera e propria è dedicata alle tematiche sociali di quell'epoca. La sottrazione del cadavere è giusto il pretesto per parlare dello sfruttamento del territorio ai danni dei nativi, i quali sono tutt'altro che propensi a starsene buoni. I motivi e le accuse sono validi da entrambe le fazione e l'ago della bilancia, rappresentato da Saguaro, punta in una sola direzione: quella della legge. Indiano o bianco, chi sbaglia finisce col muso sul suo pugno.

Spettacolare e "fumettistica" la lotta finale, ambientata in una location davvero suggestiva come già la splendida copertina di Furnò fa intendere: le rovine di un Pueblo Anasazi. Senza svelare nulla, la chiusura dell'albo è alquanto amara e anche se la legge fa il suo corso, a farne la spesa delle guerre sono sempre gli innocenti.


venerdì 15 febbraio 2013

Il lato oscuro della Luna

Il quinto volume della serie Bonelli "Le Storie" è il punto più alto raggiunto della collana finora. Ad eccezione del numero uno, gli altri tre numeri hanno raccontato storie più d'avventura mentre nel quinto ritroviamo una storia di forte spessore psicologico e con risvolti intimistici con la differenza che, se ne "Il boia di Parigi" era ambientato secoli fa, la storia di Bilotta è ambientata negli anni '60 del XX secolo, rendendo l'identificazione coi personaggi e la società più agevole.

In breve si potrebbe dire che è un viaggio nella memoria di un astronauta, ma la verità è che i livelli di lettura sono molti di più, tanto da arrivare ad un finale che è chiuso, ma che ne lascia aperta l'interpretazione. A me, lo ammetto, piacciono le storie coi buoni finali, ben definiti, che danno solidità a tutta la struttura precedente; in questo caso non abbiamo una chiusura classica, ma piuttosto particolare che però rende molto meglio di una spiegazione data col cucchiaino; insomma, in questo caso si può parlare della classica eccezione. Ma in questo albo tutto è perfetto, non solo il finale. L'alternanza dei ricordi della fanciullezza con quelli della (presunta) realtà danno quel giusto ritmo alla storia, permettendo di entrare ancora di più nell'animo del protagonista.

Bilotta, per l'appunto, è un po' il narratore dell'animo. Lo ha già dimostrato con opere precedenti come "Valter Buio", il cui connubio di nostalgia e malinconia si fondeva magistralmente con la realtà. Ecco, questo è il tratto caratteristico di Bilotta: il fil rouge che collega tutte le sue opere, con il quale mi sento parecchio empatico e di cui anche in questo albo trova la sua massima espressione ed essenza.

Ma per quanto la narrazione sia sublime, essa sarebbe debole se non fosse accompagnata da disegni all'altezza e, per nostra fortuna, è questo il caso. Matteo Mosca disegna delle tavole sublimi, dove alle dettagliate immagini ambientate nello spazio alterna quelle espressive degli anni '40. Su tutti, ho trovato straordinaria la caratterizzazione del padre, pre e post guerra; al contrario, la madre è quasi una figura femminile anonima, che però rispecchia perfettamente la psicologia del personaggio. Ma sono in generale i primi piani che rasentano la perfezione: un intera sequenza di espressioni umane finemente ritratte e immortalate. Come se non bastasse, anche la copertina di De Gennaro è la migliore prodotta finora, tanto che meriterebbe di essere venduta come poster.

In conclusione, la Bonelli è riuscita per l'ennesima volta a fare quello che sa fare meglio: vendere un fumetto di altissima qualità ad un prezzo irrisorio (stiamo parlando di 3.50 €) ed è l'unica azienda al mondo a fare roba del genere. Noi lettori italiani siamo fortunatissimi.


 
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