venerdì 11 ottobre 2013

Alla deriva

Un lungo viaggio in auto alla ricerca dell'anima perduta, o forse mai avuta, dalla California verso Toronto. E in mezzo dei gatti. Tanti gatti. Forse proprio uno di loro ha rubato l'anima di Raleigh, la triste diciottenne protagonista di questo graphic novel, opera prima di Bryan Le O'Malley, conosciuto per il suo Scott Pilgrim.

Il fumetto edito dalla Rizzoli Lizard è un lungo viaggio, fisico e interiore, che la protagonista compie mentre torna a casa accompagnata da tre ragazzi conosciuti per caso: Stephanie, mezza matta che vede in Raleigh la perfezione, David, un tipo un po' più riflessivo e attratto da Relaigh e Ian, uno con un bel caratterino e sicuramente anima del gruppo.

O'Malley confeziona un bel romanzo di crescita interiore, dove il dolore della diciottenne bionda, un dolore comune a tante persone, viene esplorato fino in fondo, in tutte le sue venature, fino a trovare una risoluzione finale grazie proprio all'aiuto dei nuovi amici.

È un fumetto riflessivo, pieno di pensieri ermetici, che si muove con passi felpati come quelli dei gatti che costellano tutto il volume. La raffinatezza della sceneggiatura viene ammorbidita dallo stile grafico di O'Malley, molto più stilizzato rispetto a quanto visto nel successivo "Scott Pilgrim".

Un volume molto bello e che concede anche qualche livello secondario di lettura, grazie all'introduzione di alcuni temi come il lavoro della madre, gli onnipresenti gatti e un viaggio di cui anche i protagonisti perderanno le tracce. Trovarsi "alla deriva" sarà solo un punto di partenza.


mercoledì 27 febbraio 2013

Saguaro n. 10 - Spiriti liberi

Per espiare il ritardo dello scorso mese, stavolta mi sono fiondato in edicola il giorno stesso in cui è arrivato questo decimo numero di Saguaro dal titolo "Spiriti liberi". Saguaro ha un unico difetto: esce solo una volta al mese! Attenzione, stavolta c'è qualche spoiler.

L'eroe creato da Bruno Enna questa volta si trova sotto copertura all'interno di un carcere per scoprire se effettivamente ci sono degli abusi nei confronti dei nativi. Storie di questo genere ne abbiamo già viste molte, eppure a leggere il fumetto sembra di trovarci di fronte a qualcosa di diverso, complice anche la diversità razziale del protagonista. Il carcere, infatti, annulla tutte le differenze razziali e, sebbene all'interno comunque esistano varie gang etniche, l'unica opposizione tangibile è prigioniero\schiavo contro guardiano\padrone. Inoltre, più la razza sarà in minoranza, più sarà seviziata. I prigionieri politici, poi, come Nastas, il fratello di sangue di Saguaro, subiscono le pene maggiori tanto da perdere la propria identità o addirittura la vita. Lo stesso Saguaro proverà tali supplizi sulla propria pelle: psicofarmaci, maltrattamenti fisici, alterazione del sonno e illuminazione sempre accesa.

Il carcere diventa una metafora di vita che rivive nei ricordi del protagonista, dove nei brevissimi flashback si intuisce come il padre fosse un'autorità violenta tale da spingerlo ad evadere, prima da ragazzino nello hogan insieme a Nastas e poi, da adulto, lontano dalla riserva. Il crollo dell'autorità è lo stesso che avviene nel carcere, ma stavolta Thorn non scappa. Lotta, le prende come mai le ha prese prima e vince. Nessun esilio e la famiglia resta compatta, tanto che nelle scene finali il nostro Thorn salva anche Due Orsi, il quale per più volte si è visto rifiutato di essere chiamato "fratello". Del fratello vero, Nastas, l'uomo per il quale Saguaro ha scelto di infilarsi nella prigione, si perderanno le tracce: una vera e propria beffa, quasi uno scherzo, che nella mitologia indiana è solita fare lo spirito del coyote, il trickster, l'ingannatore, proprio lo spirito guida di Nastas che ha chiamato Saguaro alla missione.

Nota di merito per i disegni di Marco Foderà, buoni e dinamici con l'unico difetto che spesso i volti tendono a somigliarsi troppo (Due Orsi è un Saguaro con le basette mentre Granger ricorda tantissimo Cobra Ray). Non particolarmente di spicco, invece, la copertina di Furnò.


martedì 19 febbraio 2013

Dampyr n. 155 - Il sigillo di Lazzaro

Non sono solito comprare Dampyr. Anzi, credo di averlo acquistato una sola volta e di averne letti meno di una decina che mi sono stati regalati. Dampyr è una serie horror e io con l'horror non sono mai andato troppo d'accordo, basti pensare che sono sempre stato refrattario a Dylan Dog. Però Dampyr, ad avere spazio, lo seguirei perchè è una serie coi controfiocchi che fa della documentazione storica e etnologica il suo punto forte. Magari se la Bonelli aprirà in maniera definitiva all'e-book, un pensierino potrei farcelo.

Ma perchè vi sto parlando di Dampyr? Perchè ho comprato il  numero di febbraio, "Il sigillo di Lazzaro", che merita due parole. La storia è un classico del genere: gli eroi devono trovare un antico manufatto sulle cui tracce sono anche i nemici e in più salterà fuori un terzo incomodo. Una storia tutto sommato buona e che si fa leggere con piacere. Ma allora cos'ha di speciale questo numero? Semplice: è uno dei numeri più "politici" della Sergio Bonelli Editore.

L'ambientazione di questa avventura è infatti la città dell'Aquila, colpita dal violento terremoto del 2009 (il quale viene anche riproposto in una sequenza) e letteralmente abbandonata dalle istituzioni. E Harlan, il protagonista, col suo socio Kurjak, passeggiando per il centro storico ne denunciano a chiare lettere l'abbandono da parte delle istituzioni e di come tutto sia ricaduto sulle spalle dei cittadini che, rimboccatisi le maniche, sono andati avanti e hanno cercato di vivere nella maniera più normale possibile, dimostrando grande coraggio e dignità.

Nata da un'idea di Boselli e scritta e sceneggiata da Cajelli, è dunque una storia importante per il messaggio sociale e politico, che lascia facilmente dimenticare i piccoli difetti che non inficiano la qualità della storia come alcuni dialoghi un po' forzati, quasi finti, e i disegni di Fabrizio Russo che, per come lo conoscevo su Martin Mystère, sono un po' peggiorati.



lunedì 18 febbraio 2013

Saguaro n. 9 - Odio cieco

Con un po' di ritardo, parlo anche di questo nono numero di Saguaro, la serie western moderna di Bruno Enna. Lo dico subito: anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una bella storia, dura e spietata come il sole che picchia in Arizona.

In breve, il cadavere di una nativa sparisce dall'obitorio e le tracce portano in due direzioni: da una parte la multinazionale per cui la donna lavorava, che sfrutta e inquina il territorio Apache, e dall'altra il marito di lei, indiano anch'esso e con il vizio dell'alcol e dalle mani pesanti. In mezzo si trova il nostro Thorn, coadiuvato come sempre dalla valida Kay, la quale, proprio in questo numero, darà sfoggio delle sue qualità.

L'albo scorre bene e si segue l'indagine dei due con la giusta curiosità, ma come sempre avviene in questa collana, l'attenzione vera e propria è dedicata alle tematiche sociali di quell'epoca. La sottrazione del cadavere è giusto il pretesto per parlare dello sfruttamento del territorio ai danni dei nativi, i quali sono tutt'altro che propensi a starsene buoni. I motivi e le accuse sono validi da entrambe le fazione e l'ago della bilancia, rappresentato da Saguaro, punta in una sola direzione: quella della legge. Indiano o bianco, chi sbaglia finisce col muso sul suo pugno.

Spettacolare e "fumettistica" la lotta finale, ambientata in una location davvero suggestiva come già la splendida copertina di Furnò fa intendere: le rovine di un Pueblo Anasazi. Senza svelare nulla, la chiusura dell'albo è alquanto amara e anche se la legge fa il suo corso, a farne la spesa delle guerre sono sempre gli innocenti.


venerdì 15 febbraio 2013

Il lato oscuro della Luna

Il quinto volume della serie Bonelli "Le Storie" è il punto più alto raggiunto della collana finora. Ad eccezione del numero uno, gli altri tre numeri hanno raccontato storie più d'avventura mentre nel quinto ritroviamo una storia di forte spessore psicologico e con risvolti intimistici con la differenza che, se ne "Il boia di Parigi" era ambientato secoli fa, la storia di Bilotta è ambientata negli anni '60 del XX secolo, rendendo l'identificazione coi personaggi e la società più agevole.

In breve si potrebbe dire che è un viaggio nella memoria di un astronauta, ma la verità è che i livelli di lettura sono molti di più, tanto da arrivare ad un finale che è chiuso, ma che ne lascia aperta l'interpretazione. A me, lo ammetto, piacciono le storie coi buoni finali, ben definiti, che danno solidità a tutta la struttura precedente; in questo caso non abbiamo una chiusura classica, ma piuttosto particolare che però rende molto meglio di una spiegazione data col cucchiaino; insomma, in questo caso si può parlare della classica eccezione. Ma in questo albo tutto è perfetto, non solo il finale. L'alternanza dei ricordi della fanciullezza con quelli della (presunta) realtà danno quel giusto ritmo alla storia, permettendo di entrare ancora di più nell'animo del protagonista.

Bilotta, per l'appunto, è un po' il narratore dell'animo. Lo ha già dimostrato con opere precedenti come "Valter Buio", il cui connubio di nostalgia e malinconia si fondeva magistralmente con la realtà. Ecco, questo è il tratto caratteristico di Bilotta: il fil rouge che collega tutte le sue opere, con il quale mi sento parecchio empatico e di cui anche in questo albo trova la sua massima espressione ed essenza.

Ma per quanto la narrazione sia sublime, essa sarebbe debole se non fosse accompagnata da disegni all'altezza e, per nostra fortuna, è questo il caso. Matteo Mosca disegna delle tavole sublimi, dove alle dettagliate immagini ambientate nello spazio alterna quelle espressive degli anni '40. Su tutti, ho trovato straordinaria la caratterizzazione del padre, pre e post guerra; al contrario, la madre è quasi una figura femminile anonima, che però rispecchia perfettamente la psicologia del personaggio. Ma sono in generale i primi piani che rasentano la perfezione: un intera sequenza di espressioni umane finemente ritratte e immortalate. Come se non bastasse, anche la copertina di De Gennaro è la migliore prodotta finora, tanto che meriterebbe di essere venduta come poster.

In conclusione, la Bonelli è riuscita per l'ennesima volta a fare quello che sa fare meglio: vendere un fumetto di altissima qualità ad un prezzo irrisorio (stiamo parlando di 3.50 €) ed è l'unica azienda al mondo a fare roba del genere. Noi lettori italiani siamo fortunatissimi.


domenica 20 gennaio 2013

No smoking

Quarto episodio della collana "Le Storie" edita dalla Sergio Bonelli Editore. Stavolta troviamo ai testi Pasquale Ruju e alle matite Carlo Ambrosini. La storia è un noir che scorre veloce. Trama leggera, inizio in medias res e finale con colpo di scena davvero ben gestito, con indizi seminati durante tutta la lettura. C'è anche un epilogo, una sorta di secondo finale, ma questo resta aperto apposta per spiazzare nuovamente il lettore, riuscendoci benissimo.

Ruju il noir ce l'ha nel sangue e l'ha già dimostrato nelle sue mini precedenti "Demian" e "Cassidy", ma stavolta, libero dalla serialità, entra ancora di più nel genere, svolgendo un buon lavoro. Buono, non ottimo. Perchè si ha l'impressione che alcune didascalie, ma soprattutto i dialoghi dei comprimari siano un po' troppo finti, da "fumetto" nella sua espressione più caricaturale. Ne sono un esempio i fratelli cubani che iniziano spesso le loro frasi con un'espressione latina. Ma questo è un difetto che Ruju si porta dietro da sempre e in un certo senso fa parte del suo stile. Si potrebbe parlare quasi di "classicità rujuana", e in tal caso spetta al lettore e ai suoi gusti se apprezzare o meno tale stilema. Io personalmente preferirei vedere una maturità linguistica così come è avvenuto con la maturità comportamentale, grazie alla quale adesso i personaggi agiscono da veri duri. Una parabola in ascesa che sono sicuro non terminerà qui.

Passando al versante grafico, Ambrosini decide di usare uno stile più sporco e impreciso, molto adatto alla storia, capace di seguire i momenti didascalici quanto le scene di azione. È sempre un piacere vederlo disegnare e la sua Manuela riesce benissimo nell'ambivalenza schiava\regina, così come il protagonista.
La copertina di Di Gennaro è l'ennesimo tocco di classe a cui ormai ci sta abituando fin troppo bene. Classica e dettagliata, riprende un momento dell'albo molto insignificante ma che rende l'atmosfera di questa storia ambientata nella Los Angeles degli anni '30.


lunedì 14 gennaio 2013

Il cadavere e il sofà

"Hai mai pensato che i difetti rendano le cose interessanti? Questo rubinetto, per esempio. Siccome non si chiude bene, lascia uscire l'acqua, così attira gli insetti e le piante crescono più vicino. Non sarebbe la stessa cosa se funzionasse bene."

Edito dalla Tunuè, "Il cadavere e il sofà" è un delizioso graphic novel dell'autore spagnolo Tony Sandoval. Ambientato in un paesino di campagna di chissà quale paese, è la storia di due ragazzini un po' solitari, Polo e Sophie, che si frequentano e si scoprono fino alla partenza di lei. E in mezzo, la scoperta del sesso, i vampiri e i mannari e un cadaverino, quello di un bambino, vittima crudele di un gioco di bulli e gelosia adolescenziale.

I due ragazzini osservano il corpo che gli adulti non riescono a trovare, lo sorvegliano mentre si decompone, ci passano le giornate accanto, seduti su un sofà che curiosamente è legato proprio a quel ragazzino morto. Il tutto narrato con delicatezza e spontaneità, ma non quella infantile, bensì un po' cinica e un po' ingenua. In fondo quelli che dovrebbero essere dei semplici tredicenni, sembrano il realtà ragazzi più adulti. Sono i ragazzini che fanno sesso. Sono i ragazzini che si fotografano nudi. E sono i ragazzini che ammazzano.

Un misto agrodolce che pervade ogni livello di questo romanzo grafico. I due forti sapori contrapposti trovano infatti riscontro anche nei disegni. Alle tavole magnificamente dipinte, si alternano altre disegnate a matita e con colorazione bicroma, senza nessun motivo ben preciso. Ma ogni tavola è una meraviglia di arte un po' grottesca, un po' caricaturale e al tempo stesso così elegante e raffinata da far trasudare quel senso di malinconia che accompagna tutta l'opera.


venerdì 11 gennaio 2013

La disperazione della scimmia

"Guarda... guarda quest'albero. É un'Araucaria. Viene chiamato "la disperazione della scimmia", perchè non concede nessun appiglio per essere scalato... La nostra relazione è come quest'albero, Josef. Non può lasciarsi invadere dai sentimenti."

La disperazione della scimmia, di J.P. Peyraud e Alfred, edito dalla Tunuè, è un signor romanzo grafico che mi ha letteralmente conquistato. Ambientato in un ipotetico paese dell'Est, con influssi russi, greci e turchi, racconta la storia d'amore tra Josef, un uomo che ha ereditato l'attività di famiglia basata sulla pesca e Vesperine, moglie di un politico che per caso si è trovato ad essere martire di una rivoluzione e che adesso giace su una sedia a rotelle in preda alla pazzia. Il tutto nel pieno di una guerra civile sanguinosissima e di cui i nostri si troveranno loro malgrado essere protagonisti.

Come sempre, è la follia a pervadere la guerra, ma qui ci viene mostrata da ambe le parti, dove al dittatore amante dell'arte e succube della madre si oppone il ribelle con manie di grandezza. E la cosa stupenda sono i personaggi che risolvono definitivamente le situazioni: secondari e apparentemente innocui. Ma tutti i personaggi sono il punto di forza di questo graphic novel; sapientemente caratterizzati, mai banali, così particolari ma anche tanto semplici da potersi identificare. É davvero difficile trovare una lettura così completa. I sottotesti che la popolano sono tantissimi e non basterebbe certo un post per parlarne. Così come i rimandi e gli omaggi. Ce n'è uno in particolare che mi ha colpito: riguarda due treni, di cui uno è la dimora del cattivo. Ricorda niente? Corto Maltese, sempre lui, in tal caso la sua lunghissima avventura "Corte Sconta detta Arcana" dove anche lì c'erano due treni preziosi per la guerra.

Ma al di là della storia, ci sono i disegni di Alfred. Incredibili. Raffinati eppur caricaturali. Capaci di rappresentare la bellezza quasi angelica di Vesperine e la brutalità di omicidi a sangue freddo e stragi di massa. Gli sfondi sono ottimamente curati e la rappresentazione del paesino dove hanno inizio le avventure è davvero ben riuscita. Ma lo è anche la rappresentazione del brutto, come il cimitero delle navi, grigio, buio e che incute timore reverenziale come una cattedrale in un giorno senza sole. Il tutto coadiuvato da una colorazione adeguata che interpreta bene il sentimento dei disegni e ne amplifica le atmosfere.

L'unica critica da rivolgere al volume è però la cura editoriale. La Tunuè opta per il gran formato, ed è un bene perché si valorizzano le tavole di Alfred, ma poi sceglie una copertina in semplice cartoncino doppio, senza plastificatura e la stessa rilegatura fa sì che il bordo vicino alla costoletta risenta dello sfogliare delle pagine. Inoltre è da segnalare anche l'assenza di alette, un breve commento dell'opera o anche solo le biografie degli autori coinvolti. Un vero peccato poiché il volume andava sicuramente valorizzato.

Insomma un graphic novel consigliato non solo a chi ama leggere bei fumetti adulti, ma anche a chi di fumetti non ne ha mai masticato. Perché quando c'è una bella storia da raccontare, essa travalica sempre il mezzo. Che sia libro, cinema o fumetto.


martedì 8 gennaio 2013

Un amore di cadavere

Devo fare una premessa. Questo graphic novel è maggiormente indirizzato ad un pubblico femminile. Lo sapevo, ma l'ho comprato lo stesso perché sono sempre stato incuriosito da come le donne vedono se stesse e gli uomini. E male non ho fatto.

"Un amore di cadavere", edito dalla Rizzoli Lizard (la quale ancora una volta fa sfoggio di professionalità dandoci una confezione editoriale di gran pregio), è una deliziosa storia che vede come protagonista la giovane Zoe, alter ego dell'altrettanto giovane autrice del fumetto, Pénélope Bagieu, una ragazza che non ha mai aperto un libro, fa un lavoro noioso come hostess ma aspira a incarichi più importanti e in casa ha un fidanzato troglodita che la tratta malissimo. Tutto cambia il giorno in cui bussa alla porta di un scrittore un po' strambo, ma di cui finisce per innamorarsi. Purtroppo per lei, anche lo scrittore non si rivelerà che essere un uomo come tanti e la conclusione del fumetto sarà a dir poco spiazzante!

Va subito detto che è un romanzo grafico molto carino e soprattutto ottimamente bilanciato nella narrazione e nella caratterizzazione dei personaggi ed è impossibile non parteggiare per Zoe. Certo, il risultato che ne vien fuori è che sia uomini che donne hanno difetti, ma solo le ultime si salvano quando fanno gioco di squadra. La visione è chiaramente femminista, ma non disturba, anzi bisognerà ammettere che tanti uomini ricadono negli stilemi disegnati nel volume. Inoltre, per continuare la premessa fatta all'inizio, leggere questo graphic novel aiuta a capire un po' di più l'universo femminile e quindi è una lettura consigliata benissimo anche a noi maschietti.

I disegni, così come la colorazione, sono abbastanza semplici, essenziali ma solidamente efficaci. Una linea chiara stilizzata che però sa quando diventare più complessa, soprattutto negli sfondi, conferendo un senso di maturità davvero inaspettato se si pensa che ci troviamo di fronte alla prima opera dell'autrice, la quale non potrà fare altro che darci altri piccoli gioiellini come questo. Le varie espressioni, in primis quelle di Zoe, valgono poi da sole l'acquisto del volume.

Ok, si sarà capito che ho un debole per le ragazze come Zoe! Ma la bellezza è fatta di imperfezione e il personaggio di Zoe è tanto imperfetto quanto adorabile. É gelosa, a volte un po' sciatta, spesso vive sul divano mangiando cibi non proprio sani, ma è anche romantica e sognatrice, bella dentro e fuori e con quelle capacità che hanno in poche di non mollare mai la presa per costruire una vita migliore, nonostante le numerose batoste che si prendono.



lunedì 7 gennaio 2013

El Barco

C'è un telefilm senza sigla, giusto il titolo che compare per qualche secondo. C'è un gruppo di persone isolate dal mondo. Alla base del loro isolamento c'è un incidente tecnico\scientifico riguardante il magnetismo terrestre.  C'è una comunità di sconosciuti che deve imparare a convivere. E tanti misteri che verranno a galla.
Molti penseranno subito a "Lost", ma si sbagliano. Si tratta di un telefilm spagnolo, la cui prima stagione è andata in onda nel 2011 e ora veleggia verso la terza: "El barco" (La nave). Sto seguendo la prima stagione e ne sono rimasto favorevolmente colpito. Sia chiaro, la serie è lontana dall'essere perfetta ma, grazie ai soldini dei numerosi sponsor, è comunque un prodotto godibilissimo, che può rivaleggiare con qualche serie americana e che, soprattutto, da una lezione di mestiere a quei pseudo-film tv che produciamo noi in Italia. Tra "El barco" e una qualunque serie nostra c'è un baratro. A livello tecnico, di sceneggiatura, di recitazione, di computer grafica, di luci, di battute, di montaggio, di fotografia. Un sorpasso che ci fa sembrare un paese del terzo mondo.
Ma di cosa parla la serie? Durante l'esperimento col Large Collider Hadron al CERN di Ginevra, qualcosa va storto e tutti i continenti vengono spazzati via. Non c'è più terra sulla Terra. Colpo di fortuna vuole che si salvi una nave, la Estrella Polar, con a bordo capitano, ciurma, allievi cadetti, una scienziata, un bad boy e un clandestino. Puntata dopo puntata scopriranno cosa è successo e come dovranno riordinare totalmente le loro vite in quanto ultimi (per ora) sopravvissuti della razza umana. Ovviamente a bordo c'è chi conserva segreti e chi è collegato direttamente all'esperimento del CERN.
Certo, la serie non è priva di difetti, a volte ci sono dei buchi enormi nella sceneggiatura e quando ci sono i momenti da soap-opera, pare che la regia si pieghi e riproponga quello stile. Gli stessi personaggi a volte compiono azioni che si allontanano troppo dai loro ruoli ben definiti; la stessa definizione dei ruoli ci viene data in maniera diretta, come se lo spettatore avesse bisogno di essere imboccato.
Tuttavia ci si abitua presto a questo stile e subito ci si lascia travolgere da questa serie, fresca e comunque equilibrata, che si è studiata per benino il famoso tv show di J. J. Abrams riproponendolo in chiave marittima e per un pubblico internazionale e non solo spagnolo.


sabato 5 gennaio 2013

Saguaro n. 8 - Bordertown

Saguaro è una serie creata da Bruno Enna per la Bonelli uscita nel corso del 2012, la prima on-going (ovvero non a termine) da parecchi anni. Una scommessa della casa editrice milanese che pare si stia rivelando vincente.
In breve sono le avventure di Thorn Kitcheyan, un ex-militare di origini Navajo, che a causa del suo carattere viene soprannominato "Saguaro", un tipo di cactus molto spinoso. Le storie sono ambientate nella riserva di Window Rock, in Arizona, durante gli anni '70 e Saguaro è un agente federale dai modi molto spicci incaricato di risolvere i problemi legati ai nativi americani.
Quest'ottavo numero non fa che confermare l'alta qualità di questa serie. La conclusione della prima storia doppia è un albo adrenalinico, dal ritmo serrato e che vede Saguaro più disperato che mai per aver messo in serio pericolo la vita di un bambino messicano. E alla fine, nonostante i suoi sforzi, ne esce anche sconfitto e solo un colpo di fortuna salva le sorti del bambino (è pur sempre una serie politically correct).
I punti di forza di questa serie sono principalmente due: il primo è il personaggio di Saguaro, un uomo che di primo acchito sembra essere tagliato con l'accetta, ma che in realtà dimostra di possedere molte più debolezze. La sua maschera da duro gli permette di sopravvivere nel mondo di confine in cui si trova, ma interiormente sta compiendo un percorso di crescita di cui questo ottavo numero rappresenta il raggiungimento di un primo passo.
Il secondo è l'ambientazione. Gli USA anni '70, i deserti dell'Arizona, le moto, le capanne indiane, i ranch, i messicani con il loro vicino confine e tutto il western moderno con le sue implicazioni sociali come la lotta per il  riconoscimento dei diritti dei nativi, all'epoca ancora in corso, conquistano subito il lettore, sia quello più vecchiotto, che in quegli anni era ragazzino, sia quello nato dopo, ma cresciuto con gli echi di quel decennio. E tutto ciò viene rese magnificamente dai disegni sempre precisi e pieni di particolari. Non so se dietro ci sia più documentazione di Enna o dei vari disegnatori, ma il fatto di vedere disegnati i vari arredamenti dei ranch, capanne e compagnia bella, rendono questo fumetto davvero bello da vedere perchè l'immersione in quel modo è facilitata non poco. Le copertine di Furnò, poi, sono dei veri e propri gioiellini cromaticamente pazzeschi. Sicuramente una serie da seguire con molto interesse ma col dovuto svago.


 
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